L’ascolto empatico dei nostri figli può aiutarci a conoscere meglio il nostro bambino interiore

“Tutti i grandi sono stati bambini una volta
(ma pochi di essi se ne ricordano).”

Anthoine de Saint-Exupéry

Molto spesso davanti a un bambino che si dispera, che ci rimane male per qualcosa, gli diciamo: “Dai, smettila di piangere!” o se no “Non c’è bisogno di urlare!”, senza soffermarci a cercare di capire non solo cosa sta provando in quel momento il bambino, cosa gli è arrivato da quell’esperienza, cosa ha bisogno per calmarsi, ma soprattutto, ci si dimentica di dare spazio al bisogno del bambino di esprimere e manifestare la sua sofferenza.

Sì, perché piangere, gridare e tremare sono il modo che ha il bambino di manifestare una tensione emotiva e all’adulto chiede di essere presente, di ascoltare e stargli vicino fino a quando alle lacrime seguirà il rilassamento e la calma interiore.

Quello che molto di frequente fanno i genitori è reagire al comportamento del loro figlio con il loro “sentire”, invece di guardarlo e di cercare di sentire come sente lui, di mettersi alla sua altezza emotiva.

Il bambino piccolo, diversamente dall’adulto, è prigioniero dell’immediatezza delle sue risposte emotive, non sa utilizzare il pensiero per guardare le cose in maniera distaccata o valutare la situazione oggettiva. E’ facilmente travolto da suoi affetti e dunque ha bisogno dell’aiuto di una figura genitoriale per dare un nome e un senso a ciò che vive.

Frasi del tipo Cosa hai provato quando è successo ….?” oppure “Che emozione senti quando quel bambino si comporta così?”, sono tutti modi per entrare nel mondo del bambino e cercare di guardare la realtà attraverso i suoi occhi.

Quando i genitori offrono empatia ai loro figli e li aiutano ad affrontare sentimenti negativi come la rabbia, la tristezza e la paura, gettano tra sé e loro un ponte di sincerità e di attaccamento, allo stesso tempo insegnano ai loro figli a fidarsi dei propri sentimenti, a regolare le proprie emozioni e a risolvere i propri problemi accrescendo la propria autostima, ma anche la sicurezza e la fiducia in se stessi e negli altri.

Ma che cos’è l’empatia? L’empatia è la capacità di sentire quel che sente un’altra persona. Quindi i genitori empatici, quando vedono i loro figli in lacrime, possono immaginarsi al loro posto e sentire il loro dolore. Allo stesso modo, quando osservano i loro figli che battono i piedi furiosamente, possono percepire la loro frustrazione e la loro collera. Se il genitore riesce a comunicare questo tipo di comprensione emotiva al proprio figlio, dà credito alla sua esperienza e lo aiuta a imparare a rilassarsi.

Dalle risposte dei genitori al loro disagio i bambini possono imparare che l’emozione ha una direzione e che è possibile passare da sentimenti di intensa tensione, rabbia, paura a sensazione di benessere e di protezione e sicurezza.

Ma cosa succede se invece i genitori non sono dotati di questa capacità di ascolto empatico o se, più frequentemente, sono ancora alle prese col riaffiorare inconscio del loro bambino interiore e dei bisogni passati rimasti insoddisfatti?

In ogni adulto c’è un bambino interiore “nascosto”, un bambino che può riattivarsi in qualsiasi momento, spesso senza che ce ne rendiamo conto, e che ci può condizionare nelle relazioni affettive importanti come quella con i nostri figli.

Il Bambino interiore è una parte della nostra personalità che resta sempre bambina e che quindi mantiene in se’ le caratteristiche legate al mondo dell’infanzia. E’ l’aspetto di noi che porta nella nostra vita la giocosità, la creatività, lo stupore, il contatto con lo spirito, ma anche il bisogno, la vulnerabilità. E’ il custode di emozioni, sentimenti, percezioni, sensazioni, rimanda alla fase in cui l’individuo bambino ha fatto il suo incontro con il mondo, costituito inizialmente dalle cure genitoriali.

Attraverso l’ascolto, la conoscenza e la comprensione del nostro bambino interno (del bambino che eravamo), riusciremo ad essere maggiormente in contatto emotivo con i nostri figli, ad ascoltarli e dargli il permesso di esprimere se stessi.

Prendere coscienza di alcuni nostri atteggiamenti, spesso retaggio del fanciullo che siamo stati, può essere un valido aiuto per superare quelle ombre del nostro passato che possono interferire nella relazione con i nostri figli.

E’ importante ritrovare dentro di sè il bambino che siamo stati, senza proiettarlo sui figli, perché ciò rende unica la relazione e ci insegna a vedere i propri figli come delle persone, con la loro anima e la loro unicità.

Ognuno di noi è stato un bambino. Non importa dove e quando. Ma lo e’ stato. Per quanto siamo cresciuti e oggi siamo adulti, ciascuno con un proprio lavoro, una storia, dei figli, quel bambino alberga dentro di noi. Sentimenti, emozioni, vissuti che provengono dall’infanzia ci influenzano nel quotidiano e molto spesso determinano l’atteggiamento che abbiamo nei confronti dei nostri partners, amici, figli.

Inoltre, un aspetto da non trascurare è che molti genitori, seppur inconsapevolmente, rischiano di trattare il proprio bambino nello stesso modo in cui sono stati trattati dai propri genitori quando erano piccoli. Ogni genitore dovrebbe chiedersi cosa sta rimettendo in atto nei confronti del proprio figlio rispetto a ciò che da bambino ha sperimentato nella propria famiglia. Il nostro essere padre o madre risentirà inevitabilmente, molto spesso inconsciamente, dei modelli genitoriali che abbiamo appreso da bambini: farò perciò il genitore così come i miei genitori lo hanno fatto con me.

Nella mia professione di psicoterapeuta osservo spesso adulti che lottano con il loro bambino interiore e tocco con mano il risultato finale: solitudine, ansia, depressione, dipendenza, fobie, difficoltà relazionali, perfezionismo, smania di successo.

E’ di fondamentale importanza per ognuno di noi capire quanto i retaggi dell’infanzia sopravvivano nella nostra vita di adulti. Molti di noi cercano di estirpare quei sentimenti che si portano dietro dall’infanzia: li ignorano, li rinnegano, li respingono, ma tutto questo non aiuta: la persona non può raggiungere un equilibrio e una serenità interiore finché il bambino del passato e l’adulto attuale saranno in conflitto.

Le persone potrebbero di certo vivere meglio ed eliminare gran parte della loro sofferenza emotiva se comprendessero ‘come imparare’ a convivere con il bambino del passato ancora vivo e attivo.

In Psicoterapia succede sempre che, solo dopo essere entrato in contatto con il bambino che si è stato, si riesca poi ad entrare in un contatto più profondo con i propri figli, a mettersi nei loro panni e a rimettersi in discussione come genitore.

Superata la “cecità emotiva” iniziale, possiamo finalmente vedere dentro di noi e automaticamente anche dentro le persone intorno a noi, a cominciare dai nostri figli.

Guardate il vostro figlio e il vostro bambino interiore, accarezzatelo, abbracciatelo, parlategli in tono amorevole, baciatelo, giocateci, dedicategli il vostro tempo, tenetevelo il più vicino possibile.

Il rapporto che abbiamo con quel bambino determina la nostra vita.